mercoledì 30 giugno 2010

Orazio e Winnie The Pooh

Esco. Mi muovo. Non sto fermo. Dovrei studiare un poco, ma non sto fermo. Perciò esco. Mi accendo una sigaretta e penso. Forse dovrei ricominciare. Mi siedo ad un tavolo, in un bar. Fuori. C’è bel tempo ormai. La primavera fa le ore grasse. Pesanti. Piene di ricordi come larve. Una tipa si avvicina e mi fa all’orecchio “che bello che sei”. Ed io penso a mia zia stesa sul divano, tra fogli di giornale e vecchie cartoline postali. Francesi. Alla casa di Alda Merini vista una volta in un documentario sul due. Identica. A quella pazza che c’ho davanti e ripete “sei davvero bellissimo”. Mia nonna morta da un mese un martedì pomeriggio senza fiatare, sorridendo. Bevendo da un bicchiere. “Quanto sei bello”.

Mi alzo e non dico niente. Non faccio niente per non darle da intendere. Ho appena saputo che mio zio ha cercato di ammazzarsi con un martello. Non dico niente, non faccio niente. Non rido come al solito come uno stronzo. Non le chiedo con chi ho il piacere. Di scusarsi. Di sorridere ad un discorso bieco. Non la torturo, non mi diverto. Non gioco, non dico niente per tenerla su. Non faccio per andarmene, me ne sono andato. Non mi giro nemmeno un momento. Penso ad un tizio che conoscevo morto di cancro a 24 anni. Ad Arvo Part. Tintinnabuli. Al tizio che scrisse di me che viaggio, come un iceberg in un mare di scogli. Che disse che io sono Tintinnabuli. Che per scrivere ci vuole orecchio. Che disse che io avevo detto tutto questo. Tintinnabuli avevo detto.

Penso alle parole. Alle forme degli astri. Alla lag celeste che mi sembrava un bel modo per chiamare le stelle. A Dio che sembra che non gliene fotte un cazzo. A chi dice che in realtà gliene fotte sul serio ed è proprio questo il bello. Penso alla tizia che ho lasciato dietro che non era male. Alla solitudine. Alle rughe del buffone e alle occhiaie dell’intellettuale. Orazio e Winnie The Pooh. Alla cessa che la sera prima mi ha chiesto un brindisi. Al brindisi che non so fare anche se sono un poeta. Sì, non so mettere due rime in fila e sono un poeta. Contenti? O si beve o si muore. Anche questo è il bello.

Che mi hanno chiesto una frase per la pietra tombale. Io steso sopra una tomba in un cimitero vuoto per non sentire nessuno. E loro che mi chiedono un verso. Un epitaffio. Una frase hanno detto. Per esprimere quello che provo. Ok, gli ho detto. Poi non l’ho fatto. Una frase, un verso, un sì. Niente che non sia già stato detto. Meglio il silenzio. Una frase o un verso sono una cosa tremenda. Una discesa all’inferno. Uno sputtanamento senza gusto. Meglio il vino al verso. La poesia liquida al riflesso di uno schermo. Un chiodo ad un punto fisso. Un clistere ad un enjambement. Andare di corpo piuttosto che di spirito. E’ sempre meglio.

La passo. Mi dimentico. Mi diverto. Non ci penso. Non è giusto lo so, ma non serve a niente. Ci si deve pure aggrappare a qualcosa. Mi aggrappo. Quasi ne esco. Poi il crollo. Mio zio, quello del martello, morto. Mia zia è un armadio di pianto. Io mi sento più leggero. Non insisto. Non scrivo e non voglio. Nessun turbamento. Sono triste sì, ma non a quel punto. Non piango, rido.
Nel pomeriggio l’altro zio mi presenta il suo epitaffio. La nonna è ancora senza. Mi chiede di correggerlo. E’ bello. Cita Franco Costabile. La rosa nel bicchiere. E’ bello. Lo correggo. Ci metto del mio. Rimesto i ricordi. Una vita in quattro versi. Lo stesso modo di sentirla. Il volto di mia nonna che riemerge dallo specchio. Il bicchiere che custodiva per me soltanto da che ne avevo dieci. Che solo io lo tocco quello. Mia nonna che non mi ha mai fatto sentire di troppo. Come nessun’ altra persona in vita mia.

Mia nonna mescolata in una tazza. Mi sto mineralizzando penso. Invecchio. Non ho più la forza di un tempo. Sono solo come un cervo. Per la strada come un cervo. Tra le macchine che passano e sbuffano e suonano. Con le persone che strillano dal finestrino. Io passo. Io sono un cervo. Mi accendo un’altra sigaretta e penso diamine sì. Una nuvola di fumo mi cresce dentro. Sono un cervo. Se vi va bene resto, altrimenti fa lo stesso. Anche se resta qualcosa in sospeso. Quel discorso sul cervo. Appunto.

(bob)



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