giovedì 13 maggio 2010

en face le pire jusqu’à ce qu’il fasse rire

Penso che la leggerezza sia una forma d’arte. Non è vero un cazzo quello che si crede comunemente. Che le più belle poesie siano state scritte nei maggiori momenti di tristezza. Un depresso è una cosa molliccia. Fermo come una sedia con sopra un bicchiere. Con la voglia di fare un bel niente e che pensa sempre “sono depresso”. I suicidi per depressione non esistono. Chi si suicida è perché sta uscendo dalla depressione. I depressi non hanno voglia di fare un cazzo. Nemmeno di ammazzarsi. 
Le più belle poesie sono state scritte per leggerezza. Con la voglia di ridere di qualcosa. Il peggio in faccia diceva Beckett, fino a che non faccia ridere. E’ come quel gioco che si faceva una volta. Ci si passa la patata bollente. Che quando te la togli di dosso è solo una patata, mentre all’ultimo che arriva gli esplode in mano. Ma può capitare a chi guarda da lontano che sembri una pepita d’oro. Sembra strano non volerla una pepita d’oro, è questo il punto. Il telefono senza fili.
 
Bisogna scrivere per leggerezza. Non con leggerezza, ma per. Scrivere le cose più difficili anche più volte finché non sembrano una fesseria. Quello che sono. E’ questo il problema di chi scrive poesie d’amore ad esempio, e non lo sa fare. Dà troppa importanza a quello che dice. Le parole gli suonano in testa come diamanti e i diamanti fanno sempre un bel suono quando sbattono tra di loro. Ma sono porcherie, troppo indurite. Per leggerezza si deve scrivere sempre, e non perché si è leggeri. Guardare le cose da un altro punto di vista. Lasciarsi evaporare. Niente si distrugge completamente.