mercoledì 30 giugno 2010

Dopo l'amore

Spense la sigaretta ed uscì, deciso come era a prendersi la sua rivincita. L’ avrebbe ammazzata quella stronza, a furia di correre i polmoni le sarebbero esplosi in petto. Sarebbe morta soffocata dallo stesso sangue che le pompava fin dentro i bronchi. Poteva correre allora, corresse pure, pensava. Se non fosse bastato ci avrebbe pensato lui.

Trovò nel retro della casa l’accetta. La lama scintillava sotto la luce riflessa della neve del primo mattino, così affilata che ogni fiocco cadendo si apriva come le pagine di un libro lungo il filo. Era ancora sporca di sangue, ma utile. “Quel dannato cane” pensava. Prese la strada che portava giù a valle seguendo le orme come certi segugi l’odore della preda. Fortuna ed istinto. Sempre cani.

Pensò che l’aveva amata, ma non era per amore che sopportava quella fatica. Pur di ammazzarla intendeva, pur di ammazzare una donna un uomo farebbe qualsiasi cosa. E lui lo credeva possibile, se non proprio del tutto, almeno abbastanza. Per lui era così in quel momento e forse era l’amore che lo rendeva così semplice. Era possibile in fondo.
I passi si susseguivano l’un l’altro da soli senza soluzione di continuità, come battiti nel cuore. La casa, piccola triste baita di quella luna di miele, distava già qualche centinaio di metri. La neve si era infittita così tanto da offuscargli la vista più di quanto la rabbia non era già riuscita a fare. Non gli importava dell’assideramento. Non era quello il problema, per il momento.

Uomini e bestie si accomunano per una cosa, ancora di più se quella cosa gli circola nel palato strizzando le papille nella bocca come il tacco a spillo di una scarpa. Sangue. Sangue odoroso anche sotto la neve. Sangue che chiama sangue, fresco abbastanza per rendersi conto che qualcuno o qualcosa era passato di lì. Pregò soltanto che i lupi non l’avessero presa prima di lui.
Si mise a correre, ma non di una corsa ansiosa o di paura. Più simile a certe rincorse di treno, quando la vita scorre via e tutto sembra sul punto di cambiare. Corse, corse finché ne ebbe il tempo. Finché la neve non si infittì a tal punto che il dirupo lo colse improvvisamente con dolcezza, senza fare rumore. Inghiottito dal nulla. Quasi.

Non morì. Si lasciò cadere per un tratto sollevando un po’ di neve fino a uno spuntone di roccia giù in fondo. Appena in tempo. Il ginocchio schioccò un clac! e poi anche altre ossa fecero clac! finché non fece clac! anche qualcosa dentro al suo cervello. Ma già al secondo clac! la mente non capiva più cosa stesse succedendo. Tutto gli sembrava soffice e vellutato. Un clac! appunto.
Più in basso stava lei, accovacciata con le gambe attorno alla nuca, senza trucco, con le labbra viola e la cagnetta ferita in grembo. Senza lupi nei paraggi. Da qualche parte. Morta.

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