mercoledì 8 giugno 2011

Io dico che hai barato ragazzo

Scrivere, scrivere. Molti lo prendono come uno scherzo. Più o meno tutti in realtà, ma non è affatto così. Troppi luoghi comuni. Anche chi lo associa all’alcol non ha tutti i torti, ma neanche bere è questa gran cosa di cui si parla. Chiunque, e dico chiunque, sostenga il contrario è un cazzaro. Uno che non è mai andato oltre il frizzantino a capodanno. Bere è la cosa più fottutamente schifosa che si possa fare.
Intendiamoci, perché beviamo? “Bevo perché mi fa stare bene” sostiene la tipa di turno che ti vorresti scopare. “Bevo perché mi annoio” è invece un evergreen da adolescenti , con le loro sigarette in bocca che non facevano alternativo nemmeno quando ci andavo a scuola io e mi facevo di Nastro Azzurro. Cazzo ragazzi bevetevi un po’ di latte.
In realtà, vi dico, si beve perché l’alcol è una risposta. Il punto è, quindi, comprendere la domanda.
L’articolo 100 del codice di procedura civile della Repubblica Italiana sancisce la più grande fottuta santa ovvietà di questo mondo. Per proporre una domanda devi averne interesse. La domanda molto probabilmente sarà “Porco cazzo, che c’è che non va?” , mentre il tuo interesse è ben piantato sul tuo culo. Perché ciò che ti interessa sostanzialmente sei tu, quell’escrescenza che si dilata dalla cintola fin sopra l’ombelico e ha due gambe abbastanza robuste per alzarsi e andare a prendere un’altra birra in frigo per non farsi più domande da stronzi come questa. Perciò bere è una cosa come un’altra a cui si arriva, perché ti viene prospettata sempre e comunque come la risposta più semplice a qualsiasi domanda tu ti possa fare. Alzati. Basta avere un portafogli pieno. La tua tipa fa pompini a tutto il quartiere? Bevici su e non ci pensare. Non riesci a trovare un lavoro? Porca troia una birra la rimedi in qualche modo compare. Sei talmente basso che hai bisogno di una mano per alzare la tavoletta del cesso perché da solo proprio non ce la fai? Beh, molto probabilmente non lo sei abbastanza nemmeno per ordinare da bere a un bancone, perciò mi dispiace dirtelo ma sei fottuto amico. Fatti aiutare.
In ogni modo, nel caso migliore, ciò non toglie che bere è sempre una risposta pronta. Anzi LA risposta. Una risposta bella, già fatta e imbottigliata. In primo luogo, leggera ed esaltante, galvanizzante, esuberante, rinfrancante, eclettico-energizzante. Poi sempre meno, meno, meno.
Non mi riferisco soltanto ai postumi, che poi tanto non ci pensi mai quando arrivi al punto in cui dici “cazzo ho proprio voglia di bere”. Parlo dei problemi seri. Quelli molto seri. Gastrite, cirrosi, impotenza, delirium tremens. No, cioè, amico, dico. Impotenza?. I-M-P-O-T-E-N-Z-A. Uno inizia a bere, proprio perché magari gli sembra il modo migliore per rimorchiare la tipa di cui sopra. Un drink qua, ti offro una birra là, e poi all’atto pratico nemmeno tutto il gruppo delle ragazze pon pon dell’università del Commonwealth del Massachusetts in preda a voglie isteriche di sperma , detentrici del guinness dei primati per l’ingoio profondo di gruppo più lungo della storia riuscirebbe anche solo a fartelo rizzare. Capisci che è un a bella fregatura? Hai un corpo cavernoso e senza eco che ti penzola giù dal pube come un foglietto di carta arrotolato. È quella roba è il TUO pene.
Ma torniamo a noi. Parlavamo di scrivere. Beh, scrivere assomiglia molto al bere dicevo. E’ la stessa porca roba schifosa. Eccitante magari, fino ad un certo punto, ma poi si riduce ad una tortura. Tortura spirituale.
Se esiste un’anima, quel po’ di buono che abita questo corpo rognoso che ci trasciniamo dietro come un sacco di patate, ecco, scrivere è come prendere uno steccone per cucinare e stringere all’angolo un topo vivo, infilzandolo lentamente da tutte le parti e fin dentro al tubero del cervello. Solo che quel topo è la tua anima, cioè una palletta d’organza che si muove con dentro sentimenti, ricordi, impressioni, idee, speranze e quant’altro, stipati dentro come confetti colorati, che non fanno altro che bucarsi, rimarginarsi e ricomporsi e produrre un suono tipo crack! ogni volta che la stuzzichi, dandoti allo stesso tempo la possibilità di ferire e incidere più e più volte anche la stessa parte. La tua anima è quadrimensionale, è come il fegato di Prometeo, non te l’hanno detto? Non è vera carne, non fa il callo, la parte sana è malamente sana, ma un po’ meno ogni volta che la incidi ancora alla potenza della prima volta in funzione di ics, con questo steccone che non si consuma mai e non si capisce da dove tu l’abbia tirato fuori. E nessuno riesce a togliertelo dalle mani. E’ un po’ come se ti trovassi davanti Terence Hill che ti schiaffeggia e ti punta la pistola con la stessa mano nello stesso istante in cui senti l’impatto delle sue dita sulla tua guancia. Non ci capisci niente e pensi che in realtà quel tipo lì è quel dannato iettatore di Don Matteo e che molto probabilmente tutti gli schiaffi che ti stai prendendo sono dovuti al fatto che ti stai afferrando il pacco come nemmeno se ti trovassi in barriera durante una punizione del miglior Roberto Carlos facendo gli scongiuri. Che quelli come Don Matteo portano sfiga, si sa, ovunque vanno ci scappa il morto. Perciò tu vorresti levare le mani di lì cercando magari di parare qualche colpo, però in realtà il peso dei polpastrelli sulle tue zone erogene agisce sulla pressione del sangue delle vene arteriose che hai sul pene producendo quella sensazione di leggero piacere appena precedente all’erezione. Situazione che ti procura certamente non poco e dosato godimento, al punto che concentrato su ciò che sta accadendo nel cimitero sconsacrato che sono le tue mutande ormai da un po’ di anni a questa parte, arrivi quasi a dimenticare che Terence Hill chissà come e chissà perché ti sta prendendo a schiaffi come solo il miglior Trinità di quando continuavano a chiamarlo così saprebbe fare. Mentre il suo essere allo stesso tempo Don Matteo, dono di Dio alle donne, rende altamente probabile che ci sia dietro di te un assassino pronto a ficcarti 10 cm di acciaio inox nelle spalle e poi grazie al cazzo che il Don Matteo in questione che stava là a guardare in un paesino di 150 anime compresi cani e gatti riesce a scoprire chi è il colpevole. Grazie al cazzo Don Matteo, davvero.
Prendiamo fiato.
In pratica scrivere è un po’ tutto questo gran casino di roba qui con cui devi fare i conti ogni volta che prendi una penna in mano o ti metti di fronte ad una macchina da scrivere o un computer. Che alla fine ti rendi conto che sarebbe molto più semplice armarsi di coraggio e fermare quella tipa simil-Jennifer Aniston troppo figa che ti fa sentire peggio del più pusillanime degli sfigati coi suoi hotpants inguinali, per dirle semplicemente “vorrei scopare con te come se fossi l’unica donna degna di essere amata da che esistono forme di vita con le tette su questo pianeta di merda. Capaci come siamo stati noi di inventarsi una cosa così complicata e fottuta come l’amore, che mi fa dire che nel momento in cui ti ho vista ho realizzato che il resto delle cose che ci girano attorno come le stelle, i piccioni che cagano per terra, le cicche delle sigarette e i gas di scarico nei polmoni dei ciclisti, sembrano sfocate con lo strumento brucia del Photoshop di Adobe quando ti vedo passare. Perciò” prendi fiato un'altra volta “il semplice fatto  di toccare le tue labbra con le mie potrebbe essere come dare vita a nuovi universi inesplorati e magari più belli e irraggiungibili rispetto a questo buco nero in cui Dio ci ha fatto incontrare, magari proprio per rimediare alle stronzate che lui stesso aveva tirato fuori quando si faceva troppe pere e un bel giorno si mise in testa di creare il mondo. E magari può non sembrarti bello o romantico, o chissà cosa, darsi uno di quei baci appassionati stile The End che si vedono nei film americani in questa piazzetta buia che ricorda l’anello peloso del buco del culo di un guidatore di Tir danese ubriaco fracido, ma in questo momento sono abbastanza fatto per dirti che ti amo”.

(bob)