giovedì 22 luglio 2010

Il demone della foto


Mi sono trovato due volte a piangere durante un concerto.

C’è da dire che la prima non fa testo, perché dovuta al crack del mio ginocchio durante gli ultimi minuti del live degli “Asian Dub Foundation”. La seconda invece ero sovrastato dai droni dei “Fuck Buttons”, e non sono riuscito a muovermi di un centimetro per tutta la durata del concerto, salvo accorgermi, verso la fine, che avevo reclinato la testa e iniziato a piangere ormai da un bel pezzo.
In tutto questo, C., accanto a me, ballava come se si trovasse ad un rave estivo al quarantunesimo chilometro della Cassia.

Ieri è stato diverso. Prima che le sorelle Casady salissero sul palco, un bontempone alla consolle ha pensato bene di mettere i “Take That” completamente al rallentatore. Sembrava di sentire Barry White sotto acido, mentre tenta di farsi cacciare dalla boy band nella quale è appena entrato, ovviamente stanco e fuori forma. Inizia il concerto nel momento in cui mi viene offerto del vino. Primo pezzo tutto ok, beat boxer da paura, smanettone al piano e ai synth, percussioni, e le due sorelle Casady, Bianca e Sierra AkA “Cocorosie”. I bassi provenienti dal beat boxer, sono così profondi che mi viene da grattarmi il naso, neanche fossi sotto il sound system di King Tubby “nella Giamaica degli anni ’70. Va tutto da paura, almeno fino a quando non capisco di essere attratto in maniera ossessiva da una delle due sorelle. Non so cosa mi inchioda lo sguardo, lei e nient’altro. O forse lo so benissimo, ma è veramente troppa roba. Forse è perché ad un certo punto si toglie la gonna bianca a cuori rossi, facendo spuntare dei tre-quarti “ghetto style” marchiati Iron Maiden.

Ad un certo punto mi rendo quasi conto di stare tralasciando il concerto. Vengo preso a braccetto dal famoso demone della perversione di cui parlano Edgar Allan Poe e Jovanotti.
Sì, avete letto bene, non preoccupatevi. Giuro che non mi impelagherò in prolisse argomentazioni che giustifichino l’accostamento, per molti di voi sicuramente blasfemo, scopritelo da soli leggendo “Il demone della perversione”, e ascoltando “Mi fido di te”.
Fatto sta che, proprio quando comprendo di stare trascurando il concerto, al posto di riprendere il filo, persevero nella mia ossessione. Una figura fuori dal tempo che risponde al nome di Bianca Casady, mi sta letteralmente devastando. Mentre sua sorella si destreggia tra arpe, burqa del terzo millennio, e mosse al confine fra Nureyev e Ambra di “Non è la Rai”, lei smanetta con residui d’infanzia, strumenti a fiato, e una voce da fare invidia a tutte le vincitrici dello Zecchino D’Oro.
Sono completamente in balìa di questa dannata donna.
Il concerto sta per finire e, verso le ultime due canzoni, ho un disperato bisogno d’acqua, indotto dall’insolazione che mi ricorda di essere stato al lago appena tre ore prima. Penso che sto per svenire, ma tengo duro e riesco addirittura a rifiutare il vino che ormai mi viene offerto a ruota. Ce la faccio, rimango in piedi ancora stordito dall’immagine di Bianca. A chi mi chiede come sia andato il concerto, riesco a fatica a bofonchiare qualcosa che la riguardi, ma non riuscirei a ricordare cosa.

Ritorno alla vita (e al dancefloor) grazie ad un semplicissimo bicchiere d’acqua. Sto ancora metabolizzando il tutto, mentre M. mi sposta dicendomi “eccole! ci stanno le Cocorosie che ballano!”
Mi giro. Siamo una quarantina sulla pista. Il bontempone alla consolle questa volta non fa scherzi. Ha messo su un dj set electro di tutto rispetto, mentre Bianca (velo di seta in viso e camicia direttamente presa da un film di Bud Spencer e Terence Hill) si dimena ballando come nemmeno C. ai “Fuck Buttons”.
Solo dopo un minuto abbondante, mi accorgo che c’è anche sua sorella, insieme a tutto il resto del gruppo che si diverte quasi più di noi. Nessun buttafuori o guardia del corpo a sorvegliare. E’ finito il concerto e hanno voglia di ballare in mezzo a noi miseri fans. Cerco di sfuggire al momento foto, ma alla fine mi tocca.

Prima foto : baci, abbracci, fomento, consapevolezza di aver scattato senza flash.

Seconda foto : (nonostante i decibel non mi aiutino), spiegazione in inglese del fatto che prima non ci fosse il flash, baci, abbracci, doppio fomento, consapevolezza di essere usciti solo noi nella foto. Delle Cocorosie nessuna traccia.

Mi viene da pensare quanto possa essere difficile spiegare che, anche nella seconda foto, qualcosa è andato storto, senza dare l’impressione di essere i soliti maniaci, e soprattutto continuando ad ignorare il fatto che avremmo potuto continuare a scattare anche diecimila foto, chiamando Oliviero Toscani in persona, senza che in nessuna di queste comparissero le “Cocorosie”.
Avremmo potuto scorgere Satana a posteriori, riguardando la foto, oppure Robert Johnson, e sarebbe stata la stessa cosa. Ma loro no.Vengo invece sollevato dal fatto che sarebbe abbastanza facile regalare a Bianca l’armonica con la quale al lago ho fatto addormentare almeno una decina di persone. Lei mi guarda annoiata, e bofonchia un grazie senza nemmeno capire di cosa si tratti.

Vorrei dirle che l’amo, e non sarebbe assolutamente la verità.


(Michelangelo)

giovedì 8 luglio 2010

Il mio caro vicino di casa "Einsturzende"





Ho sempre pensato che gli Einsturzende Neubaten sarebbero rimasti favorevolmente impressionati dal rumore che il mio vicino di casa riesce a fare con il trapano alle 7 di mattina in punto, ogni maledetta estate, da 10 anni almeno. Probabilmente lo fa da sempre, ma sicuramente da bambino l’avrò rimosso e sostituito con l’estate di Vivaldi, in cui a un certo punto i contrabbassi fanno un baccano infernale che preannuncia il solito temporale estivo. Lo sappiamo benissimo che i bambini sono più intelligenti. Come diceva Gaber, “i vecchi bisogna ammazzarli da bambini”. E per vecchi non si riferiva certamente agli anziani tipo mia nonna, che dopo una vita passata a tirar su famiglia, si ricorda ancora le parole delle “canzoni di una volta”, quelle “belle” che vorrebbe ascoltare per tutto il pomeriggio.

Comunque torniamo al mio vicino di casa, perché è di lui che dobbiamo parlare, prima che inizi a divagare e mi metta a pensare a tutte le volte che da bambino, alla casa al mare, cadevo con la bicicletta, e giù sangue a fiotti dai gomiti e dalle ginocchia, proprio quelle ginocchia che ora si meriterebbero proprio una bella operazione…. Come dicevano a Mastrandrea ne “In barca a vela contromano”, il quadricipite è il muscolo più bastardo, perché gli basta solo una settimana di immobilità per farti bestemmiare sudando sei mesi in riabilitazione.

Ma è del mio vicino di casa che dobbiamo parlare.

Per anni l’ho solo associato a quello stramaledetto rumore industrial. Mai visto una sola volta, neanche di sfuggita, nemmeno mentre si rintana dentro casa sbattendo la porta.

Solo il trapano che d’estate mi sfasa il bioritmo.

Spesso mi ha sfiorato l’idea che potesse essere un “Signore Inesistente”, proprio come quello cantato da John De Leo nelle tre “Raptus”.

La storia dei Quintorigo è semplice : in un comunissimo condominio, c’è un inquilino silenzioso che nessuno ha mai avuto l’onore di vedere. Paga sempre puntualmente, e il suo comportamento discreto ed esemplare non ha mai dato fastidio a nessuno. Durante una riunione, guidati dal professore del terzo piano che viene colto da un raptus improvviso, i condomini decidono di andare a trovare “il signore inesistente”, tra chi urla che non esiste, e chi crede che invece sia un demone ancestrale. Alla fine sfondano la porta, e ognuno si accorge che in quel luogo rivede casa sua.

Ma questa non è una canzone, altrimenti sarebbe stato tutto più facile.

E’ un 12 luglio afosissimo. Non ho dormito quasi per niente a causa dei 40 gradi nella stanza. Le lenzuola sono bagnate, e il sole che entra mi ricorda di aver dimenticato la tapparella alzata. Attacca anche il trapano ovviamente, alle 7 in punto. Mi viene da pensare che nel giro di due ore il mio letto sarà una camera ardente se non abbasso quella tapparella.

Ormai il caldo misto al dormiveglia della notte insonne mi fa viaggiare. Mi rendo conto che continuerò a stare in quella posizione per un bel po’. Non sento nemmeno più il trapano : la cosa bella è che non so dire se Einsturzende si sia fermato con quell’aggeggio infernale, oppure semplicemente non lo sento più. Forse quel suono fa parte di me ormai. Probabilmente mi alzerei dal letto, andando a protestare col vicino, solo nel caso in cui gli saltasse in mente di non usare più il trapano. Devo essere diventato completamente dipendente da quel bordone mortifero, mi viene da pensare. Un drone metallico e percussivo si è installato nel mio cervello, come la prima volta che si assiste ad una performance di un qualsiasi attivista viennese, e la capra che mangi il giorno dopo ti ricorda solo l’alluminio.

Se c’è un posto dove posso incontrare il mio vicino, è senza dubbio il sogno che sto facendo in un bagno di sudore.
Ci metto un poco a capire che un sogno lucido è finalmente tornato a fare visita al mio cervello, nonchè al trapano che vi alloggia dentro ogni mattina d’estate. Non capita spesso di fare sogni lucidi, o farei meglio a dire di riconoscerli. Prima di questo, due sole volte, poiché di solito i sogni si subiscono, interagendo con cose, persone e animali, senza potere realmente decidere dove andare e cosa fare.
Quando realizziamo di essere in un sogno lucido, ci possiamo divertire, eccome se ci possiamo divertire…
Non mi sono mai spinto oltre la capacità di poter direzionarmi, ossia di decidere dove saltare, su cosa, e in alcuni casi allontanarmi da una situazione, oppure restare qualora lo volessi. Ammetto di provare invidia per la gente che studia e sperimenta da anni questi stati di (in)coscienza, dal momento che, come ci ricorda Linklater in “Waking Life”, se sei abbastanza bravo, puoi decidere di fare qualsiasi cosa nel tuo sogno lucido. Qualsiasi…

Ed eccomi qui davanti alla porta del mio incredibile vicino di casa Einsturzende, emozionato come un bambino il giorno della sua comunione. Quando decido di mettere mano alla porta, mi accorgo che è già aperta. Da fuori riesco a scorgere una figura, senza trapani né aggeggi infernali tra le mani.

Sta cantando.

E' una voce femminile.

Sono le stesse “belle canzoni di una volta” che cantava mia nonna.



(Michelangelo)

lunedì 5 luglio 2010

Siediti qui e registriamo questi pezzi


C’è solo una cosa che mi infastidisce più di una bottiglia di Ballantines vuota. Una bottiglia di Chivas nuova che non posso aprire. Non è mia e non posso. Punto.
Semmai potrò scroccare qualche bicchiere più in là, ma non prima. Per il momento resto a secco. Amen.
Sono stanco. Mi si chiudono gli occhi da soli ed ho fatto un errore. Un errore da pivello lo ammetto, ma ormai è fatta. Sono andato a riesumare roba di qualche anno fa. Roba scritta intendo.
Io scrivo da non so quanti anni ormai. Lo faccio per passatempo. Alle volte mi sento Carver, altre volte no. Pazienza. Ma il punto è che non si dovrebbe mai rileggere la roba dei primi tempi. Ti fa sentire peggio.
Da giovane scrivevo poesie bellissime. Piene di verve e immagini. Ci mettevo più tempo e meno cognizione. Era meglio. Al confronto con quelle di oggi mi sembra di non aver concluso nulla. Mi viene in mente quella frase di Benedetto Croce, che non cito: tutti poeti fino ai diciotto, poi solo i deficienti e quelli veri. Ecco, considerando i primi versi mi rendo conto di essere scivolato tra i primi. Romanticamente tragico.
Dice, sta esagerando. Si sminuisce per fare sembrare che è più bravo. Fa il falso modesto. Non è vero.
Credete quel che vi pare, non mi interessa. Piuttosto questa notte non mi va di andare a letto presto. Mi va di sprecarla ancora un po’. Oggi ho fatto il mio dovere. Il minimo sindacale, ma l’ho fatto. Perciò oggi posso rivendicare tutti i diritti che voglio. Il lavoro rende liberi di rivendicare qualcosa. Diamine io lavoro tu non fai niente fatti da parte. E’ questo il senso.
Sarebbe la notte buona per rivendicare l’amore, ma non so. L’amore è qualcosa che ti dà troppi pensieri per una testa sola. E’ un investimento su bolle di sapone. Tu pensi di avere comprato un immobile, ma in realtà non starebbe su nemmeno con diecimila colate di cemento.
Che cosa terribile che ho detto. Ho appena paragonato l’amore ad una transazione. No, scordatevelo. L’amore esiste e non si può comprare. Tutto quello che comprate non esiste, perché non avete fatto nulla per procurarvelo. Sì, ok, lavorare, si torna al discorso di prima, ma non è questo il punto.
Si resta scottati dall’amore. E’ una cosa strana ma succede. Alcuni trovano strano persino essere gentili, o provare compassione per le persone. Perciò credo che ai loro occhi possa sembrare una follia tutto questo attaccamento. Si giustificano pensando che siamo tutti una massa di egoisti e che l’amore non è altro che il gusto del soddisfacimento supremo. Superna figa.
Io non ho mai creduto a queste cose. Sono sciocchezze. La gente che la pensa così non ha vissuto abbastanza per arrivare a tali conclusioni. Credono che siamo tutti pazzi e per controllarci ci assecondano. Siamo stupidi forse, ma non pazzi. Anche essere pazzi è una giustificazione.
Come la mettete mettete il cinico avrà sempre ragione. Se fai qualcosa di completamente disinteressato, come -che so- vendere tutte le cose che possiedi e darle via in beneficienza. Loro, i cinici, diranno che lo hai fatto per metterti in mostra. E se non è per questo, soltanto per dimostrare che sbagliano. In ogni modo per fare piacere a te stesso. In conclusione, il tuo ego è grosso come un pallone pieno d’acqua che ristagna. Cinicamente parlando, si intende.
Per questo oggi non me ne fotte un cazzo e scrivo. Ho voglia di scrivere e lo faccio. Ah, dimenticavo di salutare un nuovo acquisto per il blog, quel Michelangelo che sta scribacchiando già qualcosa. Cosa significa questo? Non lo so, intanto come diciamo noi lo andiamo facendo. E a culo tutto il resto.