giovedì 9 febbraio 2012

Campari

E’ la terza sera che piove e fa freddo. La grandine ci costringe sotto i balconi e i campanelli vicino alla Scaletta di Don Carmelo. Il nevischio che si scioglie nelle pozzanghere come la luce economica dei lampioni, odore di fumo, il vento che striscia anche dentro le scarpe o sotto qualche macchina parcheggiata male, tra i gatti che cercano rifugio dall’acqua, col muso dentro qualche tappo di birra e i baffi bagnati, pieni di morsi su tutto il corpo. Dannata merla, dannate sere come tante, chiacchiere e cartine per rollare sigarette, con le labbra arrossate ciucciando dalla bottiglia e le mani strette al collo. I ragazzi nervosi maledicono così ogni cosa che passa, esercitando un diritto che dio solo sa come se lo sono guadagnato dopo una giornata di lavoro a stringere i denti per non bestemmiare.
Ora che è gennaio inoltrato il cielo si fa grigio fin dal primo pomeriggio lungo tutta la strada. I fari dei camion della spazzatura spezzano in due la colonna nera di traffico, studenti, lavoratori e madri piene di infanti che rincasano facendosi spazio  tra certe facce d’immigrati che spuntano a caso dagli angoli. Quando il tempo è buono e in tutto questo formicaio non si infila a forza nient’altro che viene giù dal cielo, non si sa come, le strade sono sempre più sgombre.
Anche di questo si ha il tempo di lamentarsi qua sotto con le marchette degli strozzini che ti guardano male se posi il piede sul muro nuovo e i barboni che si litigano qualche restatina di birra trovata per terra. Si fa in tempo a lamentarsi di tutto e ci si sente come gli irriducibili in protesta anche nel freddo per un qualche male comune di cui nessuno sa pronunciare il nome.
Frank è qui ogni giorno dopo il lavoro, puntuale come un controllore del tram, piantando bene gli stivali per terra si lega a coda di cavallo i capelli lunghi e sottili. Avanza da monte adocchiando la situazione molto prima di arrivare in mezzo a quei pidocchi di studenti che vengono dai paesi all’università in centro e poi da lui che si fa rifilare di tutto – comprese le fregature - anche se ufficialmente è meno che disoccupato.
Sulla strada, solitario un barbone si avvicina con un paletot sulle spalle messo su come una mantellina. Mastica uno stecco di legno con gli unici denti che ha in bocca. Frank lo guarda. Il barbone si ferma un momento per raccogliere qualcosa che sembra gli sia venuta giù dalle tasche e riprende il passo. Nel gesto perde lo stecchino, si ferma nuovamente per raccoglierlo e se lo rimette in bocca. Frank se lo ritrova davanti, ma lo lascia lì sul posto verso la luce della Scaletta che viene fuori come una stringa dalla saracinesca.
Si guarda attorno entrando grattandosi un braccio e si rivolge direttamente verso i freezer sulla destra. Il padrone sta seduto alla cassa «Buona sera» fa Frank senza ricevere risposta. Afferra con una mano una 8.6 e la posa sul bancone «Due e venti» risponde il padrone schioccando la lingua. Frank lascia i soldi sul marmo ed esce senza salutare.
Sam ha poco meno di quarant’anni, ma ne dimostra sessanta. Siede in un angolo della discesa tra due bidoni della raccolta differenziata con un pezzo di cartone per cuscino e la borsa di corda in cui tiene i suoi ferri. Accanto a lui Poldo, un bastardo di nove mesi, abbaia alle campane delle sette e tre quarti. Non ha soldi Sam, soltanto un po’ di stagno e qualche catenina che scambia volentieri per una birra o una sigaretta. Sembra appisolato, il mento sprofondato sul petto. Ogni tanto si muove e con la mano fa come per togliersi qualche mosca dal naso, vigila così sulla sacca che stringe tra le gambe lasciando a Poldo ogni altra incombenza.
Frank lo sa e fa finta di niente. Lui e Sam vanno molto d’accordo per una storia che gli ha procurato dodici punti sulla mano destra e un bassotto a cui è toccato risistemare il collo «che se li portasse qualcuno quelle bestie Caine» che se la prendono con uno come Poldo, ma il padrone non disse niente perché lo si conosceva bene e perché qualcuno gli aveva allungato un po’ di roba. Questo ripagò Frank per certi altri impicci che solo Sam sapeva come sistemare, ciononostante adesso non aveva voglia di stargli dietro che bravo era bravo, ma decisamente troppo accollativo per i suoi gusti.
Un’altra volta c’era stato un grande casino col tipo con lo stecco di legno di prima che gli sputava in faccia e lo prendeva a calci a Frank che era ubriaco, ma poi Sam aveva aggiustato le cose dando qualche euro da bere al barbone. Il quale però si era rifiutato di andare lui a comprare la birra e anzi aveva tirato a Sam i soldi in faccia urlandogli di farlo al posto suo. Frank allora, che come tutti sanno è un tipo tranquillo, si era incazzato di brutto e urlando come un matto aveva scacciato via il vecchio con lo stecco.
Sam ha sempre negato ogni parola di questa storia perché no, non è vero che il tipo con lo stecco lo ha trattato male, ma che anzi lui è un vecchio con tanti problemi e forse ha frainteso. E allora in pratica tutti e tre sono rimasti con l’amaro nel sangue, ma alla fine nessuno se ne ricorda, tantomeno il vecchio con lo stecco che in effetti di problemi ne ha più di tanti, ma la vita del resto è quello che è e si fa presto a vederla andare avanti, che poi a furia di segnare ti dimentichi persino di chiederle il conto e poi basta.
«Vedi» mi fa segno Frank «là» indicandomi il tipo con lo stecco che si è messo ad attraversare avanti e indietro la strada senza badare al traffico, ma anzi urlando contro i clacson delle auto incolonnate. Il paletot che ha addosso gli è scivolato lungo un fianco e adesso si vede chiaramente che gli manca il braccio destro. Dalle grosse tasche laterali saltano fuori dei piccoli topi bianchi che precipitano squittendo sull’asfalto, lui si piega platealmente per raccoglierli alzando prima l’unico braccio al cielo e facendolo piombare di colpo sull’animale come se stesse cercando di pescare trote con le mani. Mugugna, bestemmia. Alla fine ne afferra uno e lo tira contro il muro di fronte e così gli altri tre per terra prendendoli a calci come se fossero barattoli. Il marciapiede si riempie di strisce di sangue che la grandine schiarisce via in pochi istanti.
«Certe persone meriterebbero di morire e invece no, nemmeno la grandine se li leva a questi qua»
Seguiamo il tipo con lo stecco continuare verso il muro e accasciarsi sulla macchia chiara dove prima c’era il sangue. Si ferma a parlottare da solo mettendosi seduto a contare gli ultimi due topi rimastigli in tasca. Frank bestemmia, fa scivolare in una cartina un po’ di tabacco, la gira con una mano e l’accende. Ha le mani martoriate come quelle di un tossico a causa del freddo e delle birre aperte con mezzi di fortuna.
«Stammi bene a sentire. Sono due settimane che non si vede un cliente che sia uno che voglia pagare. Questo lo sai benissimo, la gente non paga, ma si sente in diritto di lamentarsi poi che non ci sono soldi. Io ne vedo a iosa di questa gente che si fanno i fighetti con le canne in bocca e i liquori che vengono a dirti poi che soldi non ce ne sono. Ed io sai che faccio? Non dico niente. Perché sostanzialmente alla gente come me non fotte un cazzo che le cose possano cambiare anche di così. Finché avrò la possibilità di venire qui nonostante tutto a bermi una fottuta birra e rollarmi un po’ di tabacco del cazzo non muoverò mai un dito seriamente per fare nulla che sia nulla. E così anche loro finché potranno farsi i fighetti del cazzo e farebbero anche le marchette e alcuni di loro li ho visti farlo addirittura pur di avere i soldi in tasca. Ma questo no, il culo non lo danno per chi il culo lo dà via per loro. Questo mai.»
Uno schianto lo interrompe. Vediamo entrare chiassosamente alcuni ragazzi nel locale che smanacciano verso il telefono. Al padrone sale il sangue alla testa e poco manca che si metta a bestemmiare, ma l’urlo di una fighetta lo passa da parte a parte. Frank sbatte giù la birra che ha comprato e con un impeto di tosse per poco non mi centra in pieno. Di là, dall’altra parte della strada, il poggiolo sotto cui si trovava il vecchio senza un braccio è venuto giù dritto e adesso lo si vede in una pozza di sangue che la grandine non fa in tempo a lavare via perché la polvere dei calcinacci la raggruma tutta. Il vecchio respira ancora contraendo lo stomaco. In un istante siamo tutti in mezzo alla strada con Poldo che abbaia più forte di tutti.
Nessuno si avvicina troppo per paura che accada qualcosa. Frank si strofina le labbra e bestemmia. Sam dà due colpi di tosse nel fazzoletto che si colora di sangue. «L’ambulanza sta arrivando» fa qualcuno da dietro. Il vecchio si lamenta come se lo avessero appena svegliato, con tutti e tre gli arti dritti in aria che sembra che qualcuno l’ha piantato a forza dentro un buco a suon di pugni. Ha la faccia ridotta a un cruciverba.
Alla fine non si muove più e tutti si guardano perplessi. Io mi faccio il segno della croce e guardo Frank che a sua volta non stacca un momento gli occhi dalla scena. Sembra davanti al mare Frank in quel punto in cui l’orizzonte è lo stesso da ogni lato. La mano del vecchio inizia a muoversi nuovamente e si sente come un unico tirare di fiato. Da sotto al palmo spunta fuori uno di quei topini bianchi e subito gli va dietro l’altro. Frank sorride, si alza il pellicciotto e si mette accanto con la sua solita posizione a gambe aperte. Incrocia le mani sulle cosce piegandosi in avanti. Li afferra entrambi e se li mette in tasca.

(bob)