mercoledì 27 luglio 2011

.trasloco

da una discussione sulla via del folle vien fuori che il caso è il marito della casa. Paradossalmente, o forse no, la casa è il luogo della calma e della tranquillità, dove è tutto familiare. Niente batticuore, niente di sconosciuto o di straordinario. Il caso è il momento dell'incertezza per eccellenza, del fuori controllo che comunque accadrà. Ma per gioco o per amore ci si può trovare a cambiare casa di continuo, spostandosi quasi a caso, con movimenti roteanti o squadrati che siano.

(Matteo)

venerdì 22 luglio 2011

Finto impero

Voglio un bel ritorno per te
dentro una scusa muta e lenta
come un crollo di scale; dentro

un bovindo esagerato
spinta verso altre catene
da una fiamma di contrariate
voci, le tue. Come

un coro di cicale o il segno
rovinoso delle nocche
sotto l’acqua che le ha lavate

e dice ogni segreto di questa notte
che fa da tappeto all’interno
bar del petto

pieno di sedie disabitate.

(bob)


venerdì 15 luglio 2011

Tiramolla

Il volto di mia zia pieno di rughe, con i tubi che escono dappertutto. Dalle braccia, dalle gambe, persino da una seconda bocca lungo il fianco destro. Il volto di mia zia che dorme con due occhi come se l’avessero presa a pugni. Una cover di Drake nelle orecchie. Che gratta.
La trovo così. Con questa dannata cover nelle orecchie e lei che parla a qualche santa o con la copia di me stesso vestito di frutta marcia. Mia zia che sente le voci e le vede. Ogni tanto gli risponde pure. Persa a contemplare un muro bianco.
A 19 anni non sopportavo l’idea di prendermi cura di qualcuno. Ancora oggi se ci penso mi viene la nausea. Mettere le mani addosso a qualcun altro per accompagnarlo a fare tutto. Tutto. La pipì, a passeggio, a cambiarsi. Anche scendere dal letto o risalirci. Mangiare. Bere.
Ritrovarsi a imboccare qualcuno. A fare tutto il resto di cui sopra. Ritrovarsi a farlo e basta, senza pensarci su neanche un momento. Fare, fare, fare. Pura azione.
Probabilmente è questo, non si deve pensare. A vent’anni si ha l’incubo della prestazione, della pratica. Non si sa ancora che teoria e pratica sono come il corpo e l’anima, due cose che non tengono assieme nemmeno con la colla. Tu devi essere la gomma.
Mangiare, bere. “Zia, devi mangiare e bere, altrimenti non ti rimetti più” E lei che fa di sì col capo “Zia hai mandato giù?” Ancora sì col capo “Fammi vedere” Sì, col capo. Poi apre la bocca e cade tutto. Io allungo una mano e afferro al volo una polpetta masticata di merluzzo, insalata e saliva come se niente fosse. La butto nel cestino e le allungo un fazzoletto. “Zia devi mandare giù” Sì, col capo. “Zia!” sempre più spazientito. Lei allunga una mano e in un lampo si infila in bocca un pezzo di pane grosso quanto il mio pugno. “Zia guarda che ti soffochi.”
Tra dieci giorni mi laureo. Finalmente direi. Sono otto anni. Divoro libri come se mi mangiassi le unghie, nervosamente. E nervosamente mi lamento di non fare altro che studiare. Divoro libri, è la sola cosa che so fare bene. Darmi completamente al testo. E ora sono qui, non tocco la tesi da troppo tempo ormai. Non ricordo niente, non riesco a pensare a niente. Siamo a luglio, fa un caldo infernale. Sono nervoso. Non prendo sole da cinque anni se si esclude qualche scottatura ogni tanto. Troppo poco tempo, troppa fatica. Troppi libri da leggere e due occhi soltanto per farlo. In questo momento potrei essere a mare, sotto un ombrellone o nell’acqua. Sono tre anni che soffro di reumatismi. Il medico dice “devi prendere sole, non c’è altro rimedio alla tua età”. Si vede che nemmeno il sole attacca su di me. Sono come Tiramolla io.
Mia zia che non vuole proprio saperne di mangiare “ma dai zia, il pesce l’hai sempre mangiato, è buono. Guarda lo provo anche io”dico. E lo provo veramente, non per finta come pensavo si facesse in questi casi. Non era male. “Zia che viziata che sei” La costringo a masticare tutto e a mandare giù “Prova con l’acqua” Lei ubbidisce perché è proprio il sapore a non andarle giù. Le faccio dire “Aaa!” e le conto i denti. Ci sono tutti, più o meno.
A tratti penso che lo faccia apposta. Mi spazientisco. Alzo la voce e cerco di forzarla, ma non attacca. Lei inizia a tremare. Insisto. Non attacca. Trema ancora di più. Si sforza a mangiare. Crolla la testa. “Zia alza il collo altrimenti il cibo non passa”. Sì, col capo, ma resta giù. Le tiro su la testa tenendola per la fronte come un ubriaco. “Zia, guardami” Le dico. Sì, col capo. “No, è inutile che dici di sì, se poi fai il contrario” Sì, col capo. “Mangiamo?” “Mangia tu!” Che peste.
“Ma lo sai che sei curiosa?” Le dico innervosendomi sempre di più. “Come i bambini fai. Ma dico, hai sessant’anni ormai.”Urlo. “Che facciamo, regrediamo?” Crolla ancora il capo.
Mi allontano di qualche passo. Faccio avanti e dietro. La guardo seduta su quella sedia blu di vimini dimagrita di 20 kili in una settimana. E’ piena di grinze. I seni le arrivano quasi alle ginocchia. Sembrano due grosse bisacce legate al collo. Ha addosso una camicia da notte rosa con i cuoricini. Anche i bottoni sono a forma di cuore. Sotto porta un pannolone verde. Anche quello visto da lontano sembra proprio un cuore.
Mi ritrovo a pensare che quella sedia è blu come la tristezza. Chair to Blue. Mi calmo. Mi avvicino di nuovo, la prendo per il mento e le tiro su la testa. Ci guardiamo dritti negli occhi. Sta piangendo. “Che fai piangi?” Le asciugo le lacrime come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. “Non ti devi sentire assillata zia, se mi innervosisco è perché ti voglio bene. Se non mangi ti senti male, lo capisci?” Fa sì col capo. “Non importa se non riesci a mangiare tutto in una volta. Mastica a lungo, non ho fretta. Se non mastichi poi ti senti male. Non ho fretta” Con una tenerezza che non credevo possibile.
Alla fine mangia tutto, o quasi. Divora letteralmente la frutta. Le piacciono le cose dolci, penso. Probabilmente ha la bocca amara per i farmaci. Mi riprometto di portarle un succo di frutta. “Ti piace?” Lei mi chiede una carbonara. Rido e le dico qualcosa che la fa ridere. Mi fa “Occhi belli, ma lo sai che sei simpatico?” “Fai la ruffiana zia? Guarda che comunque domani ti faccio mangiare tutto” Ride.
Cinque minuti dopo mi chiede di portarla in bagno. Ha un catetere non può farlo. Sono due settimane che è così, ma lei insiste. “Fammi andare lo stesso” Due settimane in questo modo.
Mi ritrovo a non pensare a niente. Alle nove di sera arriva l’infermiera di notte. La zia si incupisce. La farà in bianco anche questa sera. Chiedo alla ragazza di cambiarla l’indomani mattina prima del mio arrivo. È una ragazza robusta della mia stessa età. Si chiama Francesca, mi dice di darle del tu. Per l’ennesima volta.
Saluto la zia e scappo prima che chiudano il portone. Salgo in macchina e imbocco l’autostrada fino a casa. Alla radio passano Way to Blue, l’originale. Era una strada dopotutto. Non so come abbia fatto a non ricordarmelo.

(bob)