mercoledì 25 maggio 2011

.ero io

in fila allo stesso bar, forse lo stesso pensiero nella testa, abbiamo parlato, mi hai offerto la tua mano, ma quando ti ho chiesto "perché hai ucciso?" hai avuto paura? Non lo hai accettato? o semplicemente, hai voluto giocare e lasciarmi ad aspettare. "Devo guidare e fuori piove" così mi hai risposto, era una giustificazione? perché non hai ancora imparato a contare? Sembravi disperata, ma non lo eri. Quello disperato ero io.

(Matteo)

lunedì 23 maggio 2011

.puzza di prete

Era proprio brutto l’uomo seduto davanti a me, era brutto anche il treno, brutto e puzzava di prete. Aveva una faccia da cellulare, con dei grossi bottoni quadrati e luminosi, due paia d’occhiali e una cravatta. Parecchio spazio tra i capelli, guardava l’ora e appoggiava la mano al mento, portando un dito all’orecchio come a pensare. Il pantalone di un giallo ingiallito non gli copriva la caviglia ma gli arrivava ben oltre l’ombelico, fosse arrivato al collo sarebbe stato tutto più comodo. Ma ecco che nell’atto del leggere “messa di sant’Antonino” decide di rilassarsi da spregiudicato: con delicatezza e senza suoni attorno, si slaccia la scarpa, ne allarga le stringhe e poi la riallaccia. Eccolo, libero finalmente.

(Matteo)

sabato 21 maggio 2011

"Del resto da due ore siamo a Sparta."










Domani è un gran giorno.

Si dice debba arrivare Roderico, con tutta la sua schiera da Ortona, a spiegarci come appendere la coscienza al chiodo, senza rischiare di risfoderarla nemmeno nell'ora d'aria.

Mi sa che prenderò in prestito i tuoi occhi, quelli con cui a volte vedo le cose del mondo, e sto molto meglio del solito. Ti guardassi bene con quelli, sapresti che quando ti parlo vorrei solo una cosa. Invece indosso quasi sempre i miei. Te ne accorgeresti che, probabilmente, mentre mi stai a raccontare storie in maniera appassionata, rimpiango di non avere in sottofondo un pezzo qualsiasi dei "Mayhem" che mi ricordi come spesso la forma sia più importante del contenuto. Chiedere alle cervella di "Dead" che infestano una canzone dolcissima di nome "Fragola". Avessi i controlli del mixer, alzerei il volume della tua voce, ma solo e soltanto per dare un degno sottofondo a quella canzone.

Capisco che deve essere già domani quando mi trovo davanti la schiera di Roderico al gran completo. Hanno tutti un accento diverso, ma la stessa espressione di chi si trova dentro fino al collo in una situazione, pur non riuscendo a ricordarsi quando e perchè tutto ebbe inizio. Si passano una gomma da masticare di bocca in bocca, quando finisce uno, ha già iniziato l'altro, mentre la gomma assume sempre più un sapore di plastica.
Io sto zitto, aspetto che inizino a dire qualcosa, rimpiango di essermi dimenticato il libro sul comodino davanti al cesso. Unica soluzione, pensare a "Boys" di "Please Please Me", e alla voce niente male, checchè se ne dica, di Ringo Starr. Roderico prende la parola, inizia a spiegare come funziona il tutto, quante sono le parti di saccarosio dovute ad ognuno, quanti i saluti da non ricambiare, e quante le monete da elargire al volenteroso marocchino che da anni staziona davanti alla sbarra, e che, no, proprio non si può mandare a casa. Altrimenti si passerebbe per intolleranti.

Non ho capito mai come debba fare ad intonare il viso alla cravatta. E comunque non devo preoccuparmi, perchè Roderico e i suoi seguaci sono qui davanti a me anche per questo.

Nel frattempo arriva Mara trafelata, un'aggiustata al bordo del vestito, una schiarita di voce, e in men che non si dica l'elenco è diramato. Mi chiedo se si sia impegnata a dare un senso alla divisione delle squadre di biondi e mori, anche se è più probabile una scelta casuale, dettata dal lancio di pizzini nella piscina del ragioniere, lo stesso metodo usato da Vasco Brondi per i suoi testi.

C'è un'assistente di Roderico che fa' finta di niente, ma ogni volta che da' un'occhiata alla sala riesce a incrociare puntualmente il mio sguardo. Ci metto assai a capire cosa dovrei fare, se continuare a dimostrare indifferenza, oppure iniziare a ricambiare quegli sguardi ambigui, magari soffermandomi sulla scollatura della camicietta viola. Tralaltro non riesco a ricordarmi quali occhi idossi quest'oggi, nè in caso chi me li abbia prestati, perchè inizia a fare caldo, e la mia testa inizia a ciondolare dal sonno. Mi viene in mente l'incubo di stanotte, terminato nella metro stile "Lion Trophy Show" infestata dagli zombies.

Devo avere dormito almeno quattro abbondanti minuti. Per averne la controprova, mi metto a fare subito il gioco del "trova le differenze".
a) Di Roderico e della sua schiera, compresa la ninfomane assistente, non v'è più traccia.
b) la squadra delle bionde è stata sostituita da quella dei pelati, provenienti forse dal reparto 92, ossìa "progettazione e realizzo buoni propositi per l'anno nuovo".
c) qualcuno mi ha piazzato degli auricolari da cui risuona "Sea Song" di Robert Wyatt.

Esco a fare due passi.

Mi muovo in base all'inerzia dello scirocco che per l'occasione sta portando a spasso la busta di plastica di "American Beauty". Mi volto di scatto, preso dalla curiosità mista a terrore di vedere se dietro di me c'è il tipo con la telecamera che la sta riprendendo.

Non c'è, almeno non lui.

E' Roderico.

Mi stampa un sorriso malinconico. Mi chiede se ho da accendere. Rispondo che non fumo da ferragosto, da quando a Londra ho comprato un pacco di tabacco con un'immagine di un tumore alla gola grande quanto un pallone da calcio. Si mette a ridere forte. Lo lascio andare in balìa dello scirocco.

Prima di andarmene, per un attimo penso di sbarazzarmi degli occhi che mi hai prestato. Poi penso al fatto che è meglio che me li tenga, se proprio ho deciso che voglio portarti a letto. E ti giuro non saprai mai ch'io credo tu non valga molto in fondo. Te lo giuro.


(Michelangelo)

domenica 15 maggio 2011

Habeas Corpus

La bocca rotta del lunotto posteriore
non era seta per i tuoi denti farfalla,
piuttosto stretta se la guardi da fuori
non abbastanza per il mondo interiore.
Giocavi attenta col filtro silenziatore
e una mano seguiva l’altra senza toccarla
(alle dodici e trenta un clangore di concerto
fa scacco al Re, una porta si allarma).
“Listen” dicevi “someone, or someone else”
e ti sfioravo con un dito la gamba;

disperato disperavo e poi stomp,
in un cono di luce gialla. Ora che ridi pupa
e la tua voce è una croce di carta, l’upupa
stride il becco contro la persiana più bassa.
Ora che ridi sporca di gelso chissà dove
a malincuore posso spiegarlo a me stesso,
ora che ridi amore esci di nuovo e allarga
le braccia, sotto la pioggia c’è un albero
che non so come si torce e mi parla.

(bob)