giovedì 17 settembre 2009

Recensione No More Heroes (Wii) - 06/03/2008


“generazione di sconvolti senza più santi né eroi”
Facile amare oppure odiare un gioco come No More Heroes. Perché seguito ideale del controverso Killer 7 forse o perché gira sulla console più chiacchierata di questa generazione; probabilmente perché così marcato nella sua caratterizzazione che o siete come lui o ne vorrete mantenere nettamente le distanze.
Già la trama è di quelle controverse: Travis, una sorta di Otaku occidentalizzato, è il felice possessore di una spada laser a pile vinta ad un’asta online. Il negozio giù all’angolo è la sede della United Assasin Association, agenzia di assassini in cui lavora una tipa niente male. La questione è molto semplice: noi versiamo dei soldi all’agenzia per avere i nomi dei dieci più temibili killer in circolazione, li accoppiamo, diventiamo il miglior assassino in circolazione e magari la biondina di cui sopra comincia a farci gli occhi dolci.
Insomma, dovete averne trangugiati di manga e anime quando eravate più piccoli per mandare giù con facilità una storia del genere, se poi durante il vostro percorso di crescita non vi siete negati qualche partitina ai videogiochi e amate la musica… beh, siete pronti per giocare a No More Heroes.
“quelli che poi muoiono presto, quelli che però è lo stesso”
E’ logico caricando No More Heroes (ma come sempre del resto) attendere con un po’ di apprensione che termini il caricamento del gioco con le mani che tracimano sudore lungo l’impugnatura del WiiMote. Il dubbio consiste tutto nella validità e nella precisione del sistema di controllo adottato, soprattutto quando è la prima volta da quando avete acquistato un Wii che vi viene data la possibilità di brandire una spada laser.
All'avvio prenderemo subito confidenza con la solita accoppiata WiiMote-Nunchuck, con il secondo adibito al movimento del personaggio e il primo dedicato agli attacchi. Il pulsante Z servirà per il lock-on dei nemici e schiacciando il tasto A verrà sferrato un fendente con la spada laser, diverso in base alla posizione e all’altezza del WiiMote; con B infine potremo effettuare delle prese. Degli indicatori su schermo ci mostreranno di volta in volta quali siano i movimenti da effettuare con i due controller nei momenti più cruciali dello scontro.
Il tutto funziona molto bene e risulta più ragionato di quanto si possa immaginare. Il ritmo è sostenuto e non mancherà di regalare qualche emozione ad ogni scontro. Pecca maggiore è forse la ripetitività dei combattimenti (i nemici sono davvero tanti) che può inficiare in qualche modo il lavoro svolto per un aspetto del gioco importante come questo.
La ripetitività detta rivela tutti i limiti di No More Heroes proprio in quelli che sono i suoi momenti topici: gli scontri con i boss. Questi ultimi, per quanto realizzati in maniera folle e geniale da sembrare
quasi partoriti  dalla mente del Tarantino più ispirato (in questo caso le mente è Suda51 però), si rivelano presto molto semplici da battere una volta compreso come farlo: schema che il più delle volte non andrà al di là del solito schiva e contrattacca. Davvero un peccato.
“quelli che non han voglia di far niente”
Detto questo qualsiasi discorso relativo ad un gioco d’azione potrebbe dirsi concluso, ma No More Heroes si rivela da subito ben più profondo e controverso di quanto ci si possa aspettare.
Elemento centrale del gioco è la nostra casa, in cui troveremo un po’ tutti i cliché della vita da single: poster da attaccare ai muri, raccolte di figurine, tv, lettore di DVD da affittare dal nostro negoziante di fiducia, un ameno e rilassante gatto con cui intrattenerci prima o dopo gli sfibranti scontri con i nemici e un altrettanto riposante ma più profano gabinetto in cui letteralmente prenderci una pausa per salvare i dati di gioco. L’idea è proprio quella di rendere la casa del nostro Travis un’isola di pace, lontana dal mondo esterno, piena di particolari e dettagli a cui i programmatori sembrano essersi dedicati con particolare gusto, tanto da poterla considerare una parte integrante della struttura di gioco.
Messo il naso fuori dalla porta cominciano i dolori. A cominciare dal frame rate ballerino nonostante la presenza di pochi elementi per le strade di una città, Santa Destroy, che potremo teoricamente esplorare liberamente, ma in cui di fatto ci ritroveremo a visitare sempre gli stessi luoghi. Non che questo costituisca un
difetto particolare , essendo sezioni molto brevi che affronteremo spostandoci rapidamente sulla nostra moto, ma proprio l’interesse che il team Grasshopper sembra dimostrare per gli elementi di contorno fa storcere un po’ il naso per certe disattenzioni. Interesse che risulta particolarmente evidente in momenti come al termine di un combattimento, in cui vedremo comparire sullo schermo una vera e propria slot machine, che in caso di vittoria ci attribuirà dei potenziamenti temporanei.
In giro per la città potremo affrontare anche le tipiche missioni secondarie, qui proposte come lavoretti che Travis dovrà svolgere per racimolare i soldi necessari per la sua missione principale. Nulla di obbligato però, dato che la libertà di fondo concessa al giocatore si gioca tutta nella possibilità di dedicarsi al più puro e istintivo cazzeggio, portandoci a visitare videoteche, palestre, o più semplicemente dedicandoci all’acquisto di vestiti.
Pecca principale di questo aspetto del gioco, reso più frustrante dalla necessità data dal nostro bisogno di denaro, consiste appunto negli spostamenti necessari per raggiungere i luoghi in cui svolgere le missioni secondarie, che il più delle volte contribuiscono a spezzare il ritmo del gioco perdendo molto presto il loro contributo alla varietà.
“che non abbiamo più niente da dire”
Da un punto di vista tecnico No More Heroes non nasconde certo la sua parentela con Killer 7, mostrandosi in una veste grafica che non eccelle –vista anche la macchina su cui gira- ma che d’altro canto si sposa molto bene con il design scelto. Intendiamoci, la grafica non è brutta e anzi regala effetti di luce, esplosioni e dettagli a sufficienza, ma i citati cali di frame rate all’interno di una città che non pullula certo di vita rivelano in maniera abbastanza evidente i limiti di un codice che scivola rovinosamente quando si tratta di collisioni poligonali.
Il design di ambienti e personaggi è davvero unico, con un gusto per i dettagli che spazia dalle geniali magliette di Travis, al look generale dei personaggi e agli indicatori dell’hud in stile retrò.
La longevità del gioco è buona, ma sofferente. Buona, perché le dieci ore medie che vi serviranno per concludere No More Heores, impreziosite da una difficoltà crescente e ben calibrata, sono più che sufficienti per un gioco d’azione. Sofferente, perché sopratutto questo aspetto risente del difetto principale riscontrato, la ripetitività. Oltretutto il fattore longevità dipenderà molto da quanto saprete godervi gli aspetti “secondari” del titolo.
Anche il comparto sonoro risulta molto controverso. Sebbene dotato di un buon doppiaggio inglese e di una colonna sonora di chiara ispirazione punk/rock realizzata dal bravo Masafumi Takada, proprio quest’ultimo aspetto assurge a manifesto dell’intrinseca ripetitività che costella tutto il gioco.

Concludendo
Un gioco che fa dello stile il suo punto di forza: se il vostro coincide con quello di No More Heroes giocatelo e lo apprezzerete anche solo per la scelta coraggiosa e lontana dai canoni del genere. Più in generale il titolo si rivela un buon action, con fasi di combattimento davvero esaltanti e un sistema di controllo valido. Pesa una realizzazione tecnica da non promuovere a pieni voti e un gusto verso la ripetitività che lascia spesso il dubbio sulla ricercatezza di questo effetto o meno. Un passo in avanti nella maturazione artistica di Suda51. Da provare.

martedì 8 settembre 2009

Quasi un quarto di secolo



Quasi un quarto di secolo sembra il tempo che è passato dall’ultima volta che ho aggiornato il blog. Non è colpa mia “ho avuto da fare” si dice in genere, ma nel mio caso è vero. Non si fosse messo il PC a fare i capricci coi suoi virus e il mio conseguente formattone. Formattone di cui tra l’altro vado molto fiero poiché è stata la prima volta che mi sono cimentato in questa operazione. Come diceva qualcuno: “come sempre fu più facile di quanto si credeva”.
Si aggiunga poi che l’ultima volta ho avuto qualche problema con l’editor dei post e non so nemmeno se mi riuscirà di pubblicare come si deve sta roba qua (come si può vedere, infatti, The Graveyard è senza immagini).
Quasi un quarto di secolo, però, è anche il tempo che mi divide dal tempo prima, dal quando “è inevitabile che ti venga raccontato” o “dal tu ancora non c’eri”. Tra l’altro sembra che sia passato quasi un quarto di secolo  da quando John Franklin Enders ci ha lasciati e lo stesso tempo è anche quello che ronza in testa ad Alessio Palumbo mentre corre sulla sua Aprilia 250.
“Sembra quasi un quarto di secolo” è l’espressione di chi aspetta da un po’ e non mostra di gradirlo molto. Ma “sembra quasi un quarto di secolo” lo dice con una nota di nostalgia anche chi quel quasi quarto di secolo prima lo rimpiange ed è sorpreso dal fatto che sia già trascorso.
Sembra quasi un quarto di secolo è anche il tempo  trascorso da quando ho iniziato a scrivere questa roba qui, che non so dove mi porterà e francamente non so nemmeno se mi interessa saperlo, dato che sembra che sia passato quasi un quarto di secolo dall’ultima volta che ci ho pensato su veramente. Sono cose su cui ci si ferma a riflettere solo una volta l’anno per fortuna. Quel “quasi”, poi, rende ancora tutto così relativo e perciò sono contento di rimandarvi per ora a quasi un quarto di secolo da oggi per i dovuti aggiornamenti.
Infine, tanto per fare vedere che anche noi ne sappiamo qualcosa, ma soprattutto perché è importante, ricordo che proprio oggi poco più di mezzo secolo fa veniva reso pubblico l’armistizio di Cassibile, quello che ai posteri è noto come l’8 Settembre.