giovedì 26 agosto 2010

Jellyfish


L'aereo è in pieno volo per Stansted, e l'aria condizionata, sparata dalle gambe fino alla cervicale, mi indispone alquanto.

Si avvicina una delle hostess. Mi aspetto mi dica che, oltre alle meravigliose sigarette senza fumo, c'è un'ampia gamma di maglioni in lana merinos. Mi propone invece dei cheesburger di plastica, insieme a dei gioielli, per via del fatto che ce la metto tutta nel fare finta di stare nel mio microclima ideale. Accanto a me, una ragazza inglese ha raggiunto i centocinquanta chili già prima di aver dato il suo primo bacio. Sfoglia avidamente uno di quei tabloid inglesi ottimi per lobotomizzarsi il cervello. Tempo due minuti e giace stremata con la bavetta che le fuoriesce dalla bocca. "Cazzarola" penso, "se fa anche a me quest'effetto, quasi quasi poso il mio Calvino e glielo rubo dieci minuti". Il risultato è che la temperatura si alza ulteriormente, e non posso fare a meno di posare il tabloid guardando la balenottera arenata sul sedile con molta più confusione di prima.

Il cielo è una tavola blu da qua sopra.

Mi accorgo che mancano solo la stuoia e l'ombrellone per completare il quadretto "tipo da spiaggia".
Non sono mai stato così abbronzato in vita mia.
Non che mi faccia piacere essere abbronzato.
Diciamo che prendere un pò di sole fa indubbiamente bene, ma non capisco il motivo per il quale ci si debba arrostire. Anzi lo so benissimo, e c'è solo un'espressione dialettale che rende bene il concetto :"Pi ll'occhiu ra ggenti". Capisco che stiamo per arrivare, per via di due cose : la prima è che l'aereo inizia a decelerare, la seconda è che veniamo catapultati in un banco di nebbia fitta e grigia.

All'atterraggio, ci metto venti secondi a ricordarmi che esiste l'autunno.

E' il 10 Agosto, siamo in Inghilterra.

La prima cosa che cerco, è un bar con del caffè da abbinare ad un cornetto. Sono o no un maledetto italiano? Non ci sono bar a Londra. Non esiste che tu sieda al tuo tavolo preferito, e il barista ti chiami per nome e ti chieda come è andato il weekend. Esistono invece le catene, con personale che non regge il più delle volte oltre tre mesi. Ricambio e precariato costante. Entro in una di queste catene che mi ricorda lontanamente quanto possa essere buono un cappuccino di prima mattina. Vado da paura, tengo la conversazione in perfetto "british style", fino a quando alla fatidica domanda, "What do you prefer?", rispondo in meridionalissimo accento : "Cappuccino". Senza che mi venga chiesto "aah, ma sei italiano?", il tipo inizia a parlare la mia stessa lingua.

Rincuorato dal fatto che, come lo diciamo noi italiani, "cappuccino", non lo dice nessuno, mi dirigo alla "National Gallery" a Trafalgar Square. I giorni prima, sette ore di "British Museum" (con annesso pranzo di venti minuti al ristorante dello stesso museo) e sei ore di "Tate Modern", non avevano spento la mia irrefrenabile voglia di essere colto, anche per pochi secondi, da una di quelle belle "Sindromi di Stendhal". La cosa assurda, forse non troppo, è che gli italiani (specie se fiorentini) si dice non possano quasi mai essere consapevoli di questa sindrome, dal momento che essa affligge principalmente gente non abituata ad essere "immersa" o a stretto contatto con bellezze artistiche. Si dice invece che essa riguardi spesso i giapponesi. Alla lunga mi rendo conto di quanto questo possa essere una cazzata, dal momento che davanti a me ho un gruppo di giapponesi in stile Alpitour, con più macchine fotografiche che peli di barba, tutti intenti a fare altro piuttosto che ammirare la "Cena di Emmaus" di Caravaggio. Anzi, scorgo in fondo alla sala una tipa così concentrata nel togliersi l'insalata dai denti, che ha le pupille completamente rivoltate all'in sù.

Nell'ultima cartolina ci siamo io, B. e L.
Ci troviamo al "Saint Thomas Hospital" di Westminster. In sala d'attesa ci sparano una partita del Celtic, e ci sfiora per un attimo l'idea di andare a prendere delle birre. Quando arriva il mio turno, la dottoressa sembra uscita da "E.R", insieme a tutto lo staff che ha più o meno le sembianze di George Clooney. Mi verrebbe da fermarne uno per chiedergli quando iniziano con le riprese. Invece devo spiegare alla dottoressa Marion, che sono stato punto da una medusa una settimana fa nel Sud Italia, e che, non lavandomi molto bene, il risultato era quello splendido quadro in altorilievo stampato a fuoco vivo sul polso e sul fianco. Alle parole "nuotare" e "Sud Italia", Marion si è fermata un attimo assorta nel guardare le ferite.
E' bastato un discreto colpo di tosse per riportarla al presente.

Al ritorno, B. e L.,in pieno clima partita, sono quasi dispiaciuti di doversene andare dall'ospedale.

Marion fa capolino dalla porta, ha ancora lo sguardo perso nel vuoto.

Nel corridoio incontriamo la troupe al completo, dal regista ai truccatori.

Vorremmo fermarci ad assistere all'inizio delle riprese, ma fuori c'è Gotham City, e Paranoid Park sta per riempirsi di ragazzine che ti offrono l'accendino nascosto fra le tette.


(Michelangelo)

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