domenica 29 aprile 2012

Il buongiorno non si vede se non dormi


Il mare. Un silenzio. Una tavola di legno blu. Le venature. Capelli al vento. Ho dormito con troppe persone. Sono stanco. Come la pelle di un vecchio puffo. Come vernice in decomposizione. Il mare che corre non si sa bene dove. Largo.
Lo spruzzo di cotone di una maglietta. Lo specchio. L’ambizione grande come il cielo di non doversi alzare. Più alto. Più tondo. Più blu di tutto. Liquido oltre il marrone. Arenato come un tronco sulla sabbia. Come cartilagine. Come l’ustione di primo grado che ho sul naso. Il segno degli occhiali da sole.
I denti che macinano come scogli la saliva. Vestirsi senza ingoiare il piercing che mi cresce sulla lingua. La bocca come un fucile. Rossa. Correre. Correre sì, ma dove? Sgambare in aria. Le lenzuola sverginate. La posizione per dormire. Da un lato il silenzio, dall’altro il muro. Correre fuori dunque. Partire verso una qualsiasi direzione.
Un punto. La piazza che sembra un’infezione. Ho le scarpe consumate. Il male. Un’ulcera di gente che si accalca sui piedi. All’ombra. Attorno ad un cono di luce. Una lente che ti esplora. Che ti prude. Come il gioco di un bambino. Che ti ammala di malaria. Che brucia foglie attorno ad un punto preciso dello spazio. Che si spacca. Che ti prude. Oltre. Attorno. Che ti ammala la pelle. Che ti fa innervosire.
Così penso, anche tu esci dal mondo. Da questo carro che gira attorno a un muro. E forse ci si è fatti larghi per vederti. O vedersi meglio. Per non perdere il senno contando gli spazi. Le carezze. I mille occhi neri. Gli sbuffi d’aria. I dieci, cento baci per volerne altri cento sul viso. Le bolle blu. Il pallottoliere degli occhi che fugge via. A cercare un senso da qualche parte, un passo più simile al tuo. Verso rotte orbitali. Verso autostrade. Qualcuno che ogni tanto fa domande. Un soffio di vento. Lo scrollare d’ali di un piccione. Io che cerco di prenderlo con le mani. Il giro di ruota del tempo. I vecchi appollaiati sulle loro panchine come poltrone d’ottone. Una figura che passa e sembri tu.
Capita invero che ci si sbagli. Che taluno pretenda da te la chiave. Capita e vorresti proprio farne a meno. Vorresti scardinare il giorno. Fare un parapiglia tra gli anni. Credere che sia vero il non vero. L’irreale. L’impossibile battaglia di un polline contro un treno. La teoria dei quanti. La scommessa che un giorno torni a galla la cannuccia spezzata per bere. Capita ogni tanto che qualcuno rincasi senza chiavi e che il giorno dopo si risvegli non sapendo o venga per raccontarcelo in silenzio. Così penso, si potrebbe fare piovere un poco. Lasciare crescere il pane. Parlare di biscotti con le stelle. O sentirti bussare là dentro chiusa come un libro. Aprirlo baciandoti il petto.
Aprile che te ne vai via crudele, con la disattesa promessa di illuderci un poco. Rifiuti orchidee. Spargi semi di girasole. Abbiamo cantato vittoria troppo presto. Sei come una palla di cannone. Una bestemmia. La campana che urla un nome e ci fa segno col dito di tacere. La voglia di fare a botte in un locale. Aprile sporco imbroglione.

(bob) 

Nessun commento:

Posta un commento