Faceva freddo quella sera. Eravamo
tutti da Carmelo. Ad andare in giro non ci pensavi nemmeno, piuttosto bere
qualcosa di forte. Carmelo ce ne diede tre dita a testa, a me e a Miche,
qualcosa di molto potente diceva. Miche mise mani al borsello, ma non gli fece
pagare il primo. Incassò l’offerta, contento, e si guardò intorno. Il locale
era pieno di gente che come noi voleva starsene all’asciutto e con le gambe
all’aria. Carmelo si fece più vicino per parlare meglio. "Com’è?" gli
chiesi. "oh, niente," disse Carmelo. "poca roba." disse.
"poca davvero" fece eco Miche senza capire bene cosa intendesse.
Bevemmo qualche
sorso di quella brodaglia che scendeva dritta fino allo stomaco bruciando.
"E questa pioggia?" domandai a Carmelo. "Poca anche questa"
disse. "Sì" disse Miche "nemmeno
gli stronzi si porta via." "Dicono che quelli vengono sempre a galla
prima o poi" dissi io. "E quindi?" domandò Carmelo. "Già"
dissi io. "Altri due" disse Miche.
Carmelo prese una bottiglia priva
di etichetta da sotto il bancone, versò nuovamente quel liquido scuro e fece
tintinnare la cassa. “Tre euro” disse. Tornò da noi. "Certo che è freddo.
Vorrei tanto avere una barca e non pensarci più." "Dov'è che vai con
una barca con questo tempo?” "Lontano da qui.” "Tu non hai paura di
morire Melo?" "Non ci ho mai pensato sinceramente." "E di
tutta quella gente al camposanto che ne dici?" "Non credo gli importi
più di niente al momento."
Ci scolammo i nostri non so cosa
pensandoci su. "A me" dissi "mi scappa sempre una gran nausea."
In quel momento uscì dal cesso Upupone che aveva sentito tutto. Si afferrò il
pacco con un mano muovendo il pollice verso di me "Ma che bel pisellino
che hai, puoi farci l’autostop se hai tanta paura" mi disse. "Solo se
prima te lo infili in bocca e mi dici dove soffia il vento.” "Non sbagli
ragazzo, quelli come te non vanno molto lontano se non hanno qualcuno che
glielo ciuccia ogni mattina." "Non ti allargare Upupone, ogni mattina
mi verrebbe un colpo a vederti mentre me lo sbatacchi." "Due euro se
me lo fai vedere." "Due a centimetro, ma non ti basterebbero."
"Fottiti" disse infine e fece un gesto con la mano. Tutti risero "Siediti
Upupone” gli dissi “e risparmia un po’ di soldi per questa roba qua."
Si sedette accanto a noi. “Tre”
ordinai facendo un cenno con la mano. Carmelo tornò con la bottiglia e la
lasciò sul tavolo. "Questo freddo mi dà ai nervi" disse. "Anche
il caldo" gli dissi io. "Dici che sono nevrotico?" "Chi non
lo è?" "e va bene. Ora ti dico. Lo vedi quel tizio seduto là” disse
pulendosi la mano con uno straccio e indicando il fondo della sala senza
curarsi di essere visto “ogni sera se ne sta seduto e ordina una pinta, ne beve
mezza e aspetta. Solo mezza. Non fa niente e aspetta, pensa o cosa non so. Una
sera che mi ero dimenticato di dare la carica all’orologio gli passo davanti e
salgo sullo sgabello. Oh, figlio di un cane se ci penso, quello appena tocco le
lancette si alza e tira un colpo sul tavolo col pugno chiuso che per poco non
mi è preso un infarto. Mi giro e vedo che mi fissa da parte a parte con le
narici larghe come un mulo. Finisco di caricare l’orologio e scendo dallo
sgabello. «Problemi?» gli faccio. Lui non dice nulla, si scola tutta la birra,
paga ed esce. La sera dopo eccolo di nuovo là come se niente fosse. Ti sembra a
posto?” “Perché c’è gente col cervello a posto?" gli dissi senza rispondere
alla sua domanda. "Poca roba" fece lui “poca roba” disse anche Miche
a cui evidentemente quell’espressione era piaciuta parecchio.
“Bisognerebbe fare una conta”
disse Upupone. “E perché?" gli chiese Carmelo "per vedere quanti ce
ne sono." "Hai ragione" disse Miche. "E’ solo tempo sprecato"
aggiunse Melo. "No, aspetta” dissi io “questo rotto in culo non ha tutti i
torti. Metti che quelli normali siamo solo noi qua dentro. Quanti siamo? Tre,
con Upupone quattro. In tutta la sala saremo più o meno una ventina di persone.
Sedici contro quattro. Se uno di loro avesse abbastanza intraprendenza da
mettersi al comando. Costituire non so, un fronte contro di noi, e ci facessero
la guerra. Metti che vincono Melo. Chi sarebbero i normali? Chi potrebbe dirlo
se vincessero loro?"
"Grande giove!" disse
Miche. "Ascolta" disse Carmelo "come lo sai che sono normale io?
Perché non mi beccano?" "Ecco, è proprio quello che dico io. E’ molto meglio
così. Pensaci, in fondo Napoleone prima di essere Napoleone non era che un
matto che credeva di essere Napoleone. Prima lo sapeva solo lui di esserlo, ma
dopo che è diventato Napoleone solo un pazzo poteva andargli a dire «no tu sei
solo un pazzo». Poi sai che hanno fatto con Napoleone?” “Cosa?” chiese Miche.
“L’hanno mandato in esilio come uno qualsiasi. Cioè uno che ha cambiato il
mondo. Era alto così e si è fatto il più grande del pianeta. L’hanno ammazzato.
Uno che gli ha messo la saliva sul naso a tutti è finito come uno stronzo.”
“Che cosa c’entra?” chiese Carmelo con aria confusa. “C’entra che non lo sai se
uno di quelli lì è Napoleone. Pensa, oggi se uno si alza e dice «sono Napoleone»
lo portano subito al manicomio. Meglio se si sta zitto e li fotte tutti. Ecco
questo intendo, che non si sa mai.”
Restammo in silenzio. Upupone
fini di bere dal suo bicchiere, Miche contemplava i graffi sul tavolo e Carmelo
si era fatto pensieroso. Si sciolse il grembiule e ad un tratto mi disse “Pensi
che sarò mai Napoleone io?” come se fosse la cosa più triste di questo mondo
“Un giorno ero per strada” aggiunse “che mi facevo i fatti miei. Sai, no, cosa
si dice, «inquina meno un corpo che brucia che un uomo che fuma». Ecco, io me
ne andavo per i fatti miei un giorno e li ho visti. Erano i primi tempi allora
e queste cose dovevano accadere un po’ più spesso che oggi. C’era un tizio,
insomma, un vecchio. Portava una sciarpa rossa arrotolata al collo. Una giacca
verde piuttosto larga e la camicia. Era uno di quelli che non ce la facevano.
Non li vedevi in giro, li portavano in qualche clinica e li tenevano là. Non so
cosa gli facessero, ma dovevano farli smettere. Lui se ne andava in giro
guardandosi attorno in continuazione. C’era vento. Ricordo che gli scompigliava
i capelli. E lui guardava da tutte le parti con quei suoi occhietti. Infine, deve
aver pensato che quel tempo veniva a suo favore e nessuno se ne sarebbe mai
accorto. Non so cosa può passare per la mente di un vecchio. Magari poteva
anche essere uno di quelli che ce l’hanno fatta, non lo so. So solo che ad un
certo punto questo vecchio tira fuori un sigaro. Cristo non se ne vedevano di cose
così da anni almeno. Era roba costosa. Grosso quanto il pisello di un nero. Lo
teneva nella tasca interna della giacca e quasi gli aveva lasciato il segno per
quanto era pesante. Lui se lo caccia in bocca e lo accende con uno di quei
piccoli accendini a fiamma ossidrica che si usavano una volta. Non fa in tempo
a dare due boccate che già lo avevano raggiunto. Due armadi della polizia lo stingevano
da entrambi i lati tirandolo per le braccia. Lui ha iniziato a dimenarsi, ma
non poteva muoversi. I poliziotti gli intimavano di spegnere quel sigaro. Gli
recitavano la formula «flagranza di reato contro la pubblica sanità; rifiuto di
obbedire agli ordini della pubblica autorità; aggravante del tentato eco
dramma» e tutte quelle cagate che dicono di solito. Il vecchio non voleva
cedere, continuava a spippacchiare da quel grosso cazzo col glande infuocato.
Quando uno dei due poliziotti tentò di stapparglielo dalla bocca, quello riuscì
a liberarsi un braccio e brandendo quella specie di razzo lo ficcò in un occhio
all’altro sbirro che ancora lo teneva. Quello cacciò un urlo tremendo. Ancora
me lo sento addosso quel grido. Prese il manganello che gli pendeva dalla
cintura e iniziò a bastonare a morte il vecchio. Alla cieca. Quando si fermò
ricordo che qualcuno tra quelli che si erano fermati per assistere alla scena
si era messo ad applaudire. «Bravi! Così si fa!» diceva «Devono smetterla. Ci
stanno rovinando.» Io tirai dritto per la mia strada e non dissi niente”.
“Balle” fece Miche “Già, balle”
aggiunse Upupone. Io stetti in silenzio. “Ma che balle? L’ho visto vi dico.
Oggi fanno tutto più rapidamente, li bruciano. E’ un calcolo molto semplice. Un
fumatore medio, dicono, nel corso della sua vita media immette nell’aria lo
stesso quantitativo di polveri sottili di un motore a scoppio di quelli della
fine degli anni novanta. Un motore che restasse acceso per dieci anni
ininterrottamente. Perciò, piuttosto che tentare di farli smettere li bruciano.
Non fa un piega. Economicamente è molto più vantaggioso bruciarli che cercare
di farli smettere. L’impatto ambientale è nettamente più basso.” “Ma che dici?”
insistette Upupone. Miche fischiò. “E’ così ti dico cazzo. Li trovano bruciati.
Non li leggi i giornali? Perché li trovano sempre bruciati? Nessuno fuma più,
non li si vede mai in giro. Quelli che lo fanno li trovano bruciati. Li
bruciano loro vi dico!” ribadì quasi urlando.
“Autocombustione” dissi rompendo
il mio silenzio “si cagano talmente tanto di essere scoperti che se fumano lo
fanno in luoghi nascosti. Spesso in vecchi magazzini abbandonati e al buio. Non
se ne accorgono nemmeno e si ritrovano proprio in mezzo a liquidi o a gas
infiammabili. Oppure si fanno cadere direttamente addosso i mozziconi pur di
fumarli tutti fino alla fine.”
“Sentite” continuò Carmelo dopo
che si era passato la mano sul viso “conosco un tipo che… Il tabacco non esiste
più giusto?” “Ecco appunto non esiste più” disse Miche interrompendolo. “No,
invece, io conosco un tipo” continuò lui “è lo stesso che mi vende sta roba
qua. Un chimico. Si chiama Ueda, è giapponese o non so cosa. Non so come abbia
fatto, ma ha inventato un tabacco sintetico. Non di quelli che si masticano,
no. Tabacco da fumare. Dice che è roba complicata da spiegare o che ne so io.
Insomma, non lo so, ma una sera era qui. Ha bevuto più del solito e alla fine
si scopre che non aveva soldi per pagare. Mi pianta una pantomima senza fine,
piangendo in cinese o in quella sua lingua strana. Piangeva proprio, era
ubriaco forte. Poi mi fa «ti dico un segreto» e mi parla di questa sua
invenzione. Dice che è una cosa che non deve sapere nessuno. Segretissima
diceva. Una cosa tipo clonazione. Clonazione giusto? Si dice così. Quella cosa
che se ti beccano ti fanno la castrazione chimica. Io allora gli dico che se è
una cosa tanto grossa, perché la racconta a me. Gli faccio capire che non gli
credo. E lui lì a giurare e spergiurare chinando la testa. Questo testone pelato
e rosso che andava su e giù. Era orribile. Infine, mi dice «vuoi plovale?» ed
io «certo che voglio plovale amico» e lui, venisse giù cristo con tutti i
santi, caccia dalla tasca un sacchetto di plastica pieno di tabacco, cartine,
filtrini e in tre secondi mi rolla davanti una sigaretta. Questa” aggiunse
tirando fuori dalla tasca un tubo di carta lungo sette centimetri.
Upupone che si era appoggiato con
i gomiti sul tavolo per la sorpresa scivolò e per poco non si ruppe i denti.
Miche si era portato le mani alla bocca e ridacchiava, mentre io non riuscivo a
staccare gli occhi da Melo che teneva in mano la sigaretta con aria trionfante.
“Sei matto” gli dissi “posala
subito.” Lui rise “perché, hai paura? Che possono farti? Bruciarti vivo?” e
rise ancora. “Finiscila, se ti beccano con quella cosa ti fanno un culo che non
finisce più. Ti revocano la licenza. Finirai per strada Melo. Altro che barca.”
Aggiunsi serio, ma lui rise ancora più forte. Era eccitatissimo “E se la
fumassi?” disse sorridendo come un bambino “Finiscila!” gli dissi
innervosendomi sempre di più. “No, cazzo che non la finisco. Sono quarant’anni
che non ne vedo una. Non ho mai fumato una cazzo di sigaretta in vita mia. Una
volta qui si fumava forte. Fumavano tutti. Alcol e fumo, fumo e alcol. Sai
quelle stronzate della sigaretta dopo il caffè? Balle! Ho visto gente scolarsi
birre e pacchetti di sigarette come se niente fosse. Come se fossero la stessa
cosa. Per questo le chiamavano bionde. Padri di famiglia, donne incinte,
chiunque avesse smesso di fumare. Venivano qui, bastavano quattro sorsi e ti
scongiuravano di fargli fare anche mezzo tiro. Cazzo, ho visto un sacco di
gente incimurrita soffocarsi con questa roba qua. Ho seppellito amici e
parenti. Sai, no, quanti ne sono morti? Per questo hanno fatto le leggi. Sono
morti tutti. Hanno fatto causa alle aziende. Ed io mi chiedo perché. Cazzo è
una cosa che fa schifo, a me fa schifo. Non piace a nessuno, sono tutti
d’accordo, felici di non averle più. Allora perché? Perché quel vecchio ha preferito
farsi ammazzare piuttosto che spegnere il sigaro? Ora io penso si muore, sì,
prima o poi tutti. Anche Napoleone è morto, ma è morto in un mondo tutto suo.
Non come dici tu. Nel mondo di Napoleone E se fosse tutta una menata? Che ci
fotte a noi di questo pianeta di merda se non possiamo farlo nostro? Sai che ti
dico, io questa me la fumo. Io devo fumarla. Napoleone la fumerebbe. Ecco, io
forse non sarò mai Napoleone, ma non potrò saperlo. Se non la fumo non lo saprò
mai.”
Si era fatto silenzio tra noi.
Carmelo fissava la sigaretta con due occhi come se ci vedesse attraverso e
respirando affannosamente. Upupone taceva e mi guardava, Miche pure ed io fissavo
loro. Nessuno di noi sapeva cosa fare. Infine, dissi, “hai ragione.” Con l’aria
di chi si è appena svegliato mi sorrise. Ci scambiammo un’occhiata di intesa e
infine annuì.
Aspettammo finché non se andarono
tutti. Melo era deciso. Si puliva continuamente le mani sudate sul grembiule.
Sembrava che temesse di inumidire il tabacco dentro la sigaretta e che poi non
si accendesse più. Questa era messa in piedi al centro del bancone e nessuno di
noi osava guardarla. Miche si era allontanato in un angolo seduto con le gambe
incrociate su uno sgabello e si passava continuamente la mano tra i capelli.
Upupone andava e veniva dal cesso, mentre io e Carmelo sedevamo l’uno di fronte
all’altro parlando vicini come giocatori di rugby.
“Non siete costretti a rimanere”
mi disse “non me ne vado Melo” gli risposi “sono troppo ubriaco e poi ormai
siamo sulla stessa barca.” “Sì, la barca, la nostra barca.” “La nostra barca
Melo, ce ne andremo via da questo cesso di merda. Con la nostra barca. Sai che
ti dico Melo la fumo anche io questa sigaretta di merda. La devo fumare
capisci?” “Sì, capisco” rispose serio ed io non mi sentì mai così vicino ad un
altro uomo come in quel momento. “Santo cielo Melo, manca solo che ce lo succhiamo
a vicenda adesso” dissi ridendo. Rise anche lui, ma si fece subito serio “e’ il
momento” disse.
C’era sotto al bancone un samovar
che Carmelo usava per preparare il tè a certi zingari o marinai che venivano
dall’est. Pagavano bene, perciò col tempo era diventato molto esperto e si
preoccupava di tenerlo sempre acceso. Ci sedemmo tutti e quattro per terra,
messi a semicerchio in silenzio come in un rito antico. Eravamo commossi, come
se stessimo per dire addio ad un vecchio amico. Upupone tratteneva a stento le
lacrime. Carmelo aprì il piccolo sportello metallico del samovar e il giallo
caldo della fiamma si dipinse suoi nostri visi. Si mise la sigaretta in bocca e
iniziò ad avvicinarsi. Io trattenevo il fiato. Miche si torturava le dita.
“Lo faccio io” disse
improvvisamente “fallo fare a me per primo.” Lo guardammo. “Facciamolo tutti”
aggiunse Upupone. “Sì, ma io per primo” Insistette Miche. “Ok” disse Carmelo.
Anche io feci di sì col capo. “Sai come si fa?” Chiese Melo a Miche. “No.”
“Devi aspirare mentre la punta si trova sul fuoco e poi butti via il fumo.
Ricordati di inspirare altrimenti non senti nulla.” “Ok” disse Miche tutto
compito. Si avvicinò lentamente alla fiamma e accese la sigaretta. Diede la
prima boccata e ruppe in una gran tosse. Si fece rosso, poi bianco e mancò poco
che ci vomitasse lì davanti. Si diede tre pugni sul petto e iniziò a respirare
profondamente. “Tutto ok?” gli chiesi “Sì” fece lui “fammi riprovare” aggiunse
dando un’altra boccata. Socchiuse gli occhi in silenzio. Poi sorrise lentamente
e infine disse “Sono a spippolandia gente!” muovendo su e giù il capo.
Scoppiammo tutti a ridere.
“Guarda che non è mica una canna” aggiunse Upopone “passa qui”. E iniziammo a
farla girare tra di noi finché non finì tutta. Ripensandoci non era niente di
che, ma ricordo che allora ci sembrò la cosa migliore che avessimo fatto nella
nostra vita. Melo aveva l’espressione che probabilmente avrebbe avuto Achab se avesse
vinto lui e non Moby Dick. Miche non riusciva a smettere di ridere e ripeteva
“poca roba, poca roba purtroppo.” Upupone si odorava continuamente le dita
giurando su tutti i santi benedetti che non si sarebbe mai più lavato le mani in
vita sua. Io mi lasciai andare con la testa per terra e dissi “Melo, sei
proprio un gran pezzo di merda”. E fu così che passò via la nottata.
(bob)